Editoriale
Evidence 2018;10(11): e1000191b doi: 10.4470/E1000191b
Pubblicato: 24 dicembre 2018
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Il 23 dicembre 1978 il Parlamento approvava a larghissima maggioranza la legge 833 che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in attuazione dell’art. 32 della Costituzione. Un radicale cambio di rotta nella tutela della salute delle persone, un modello di sanità pubblica ispirato da princìpi di equità e universalismo, finanziato dalla fiscalità generale, che ha permesso di ottenere eccellenti risultati di salute e che tutto il mondo continua ad invidiarci.
Purtroppo il 40° compleanno del SSN, la più grande conquista sociale dei cittadini italiani, avrebbe richiesto un clima ben diverso, visto che ormai da anni il centro del dibattito è inevitabilmente occupato dal tema della sostenibilità del SSN, che vive una “crisi esistenziale” senza precedenti. Considerato che numerosi paesi hanno già abbandonato il modello di sanità pubblica, i 40 anni del SSN devono rappresentare un momento di riflessione per chiedersi a cosa serve realmente un servizio sanitario nazionale.
Differenti sono le risposte che si trovano in letteratura: alla prevenzione, al controllo e al trattamento delle malattie, alla protezione e promozione della salute. Oppure — citando l’atto costitutivo dell’Organizzazione Mondiale della SanitĂ — al raggiungimento dello stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. In realtĂ , ciascuno di questi obiettivi è inadeguato e incompleto: innanzitutto, un servizio sanitario nazionale “per le malattie” è estremamente riduttivo dal punto di vista sociale; in secondo luogo, protezione e promozione della salute sono insufficienti a riconoscere la necessitĂ di integrare public health, servizi clinico-assistenziali e socio-sanitari; infine, il concetto di “completo benessere” è troppo astratto e poco utile a definire i princìpi per i quali diamo valore alla salute.
Ponendosi nella prospettiva più ampia della politica, il fine supremo di qualunque Governo è promuovere la dignità dei cittadini, evitando di identificare le persone come uno strumento per raggiungere obiettivi politici ed economici. Se un Governo considera le persone come valore assoluto e vuole essere garante della loro dignità , deve chiedersi quali sono le loro aspirazioni e quali le loro capacità . Solo provando a rispondere a queste domande permetterà loro, compatibilmente con le risorse disponibili, di soddisfare le proprie aspirazioni: in altre parole, promuovere la dignità di una popolazione significa garantire a tutte persone la capacità di compiere le proprie scelte e la libertà di metterle in atto. Ovviamente, tale capacità dipende da abilità individuali (condizionate da genetica e fattori ambientali), dal contesto politico, sociale ed economico e, ovviamente, dallo stato di salute. E sono proprio gli indicatori relativi al nostro stato di salute che permettono al Paese di valorizzarci: l’aspettativa di vita alla nascita, la qualità di vita libera da malattie e disabilità , la capacità di mantenere la salute, il benessere psichico, la possibilità di esprimere sentimenti ed emozioni, l’attitudine a preservare l’ambiente.
I Governi devono dunque investire nei sistemi sanitari per garantire ai cittadini la libertà di realizzare pienamente obiettivi e ambizioni, perché il fine ultimo di un servizio sanitario è proprio offrire ai cittadini le migliori opportunità per scegliere la vita che desiderano vivere. In quest’ottica, è utile fare riferimento all’approccio delle capacità (1), strumento per valutare il benessere delle persone e delle politiche sociali che mirano a realizzarlo. Secondo tale approccio lo sviluppo non è inteso come crescita economica, ma piuttosto come sviluppo umano, la cui realizzazione non può prescindere da elementi fondamentali quali la libertà , il benessere e la salute. L’approccio delle capacità applicato alla salute permette dunque di identificare il fine ultimo di un sistema sanitario, confermando la rilevanza delle politiche sanitarie come le fondamenta su cui poggia l’impegno dei Governi per garantire dignità a tutti i cittadini. Ecco perché il successo di un servizio sanitario non può essere misurato solo con classifiche e indicatori (2), ma deve essere valutato soprattutto sulla base delle libertà che il nostro stato di salute ci concede per scegliere la vita che desideriamo vivere.
Purtroppo da questo punto di vista, limiti e contraddizioni di tutti i Governi che si sono alternati negli ultimi 20 anni hanno offuscato aspirazioni e prospettive dei cittadini italiani e, cosa ancora più grave, quelle delle future generazioni perché:
- hanno considerato la sanitĂ come un costo e non come un investimento per la salute e il benessere delle persone, oltre che per la crescita economica del Paese;
- hanno permesso alla politica partitica (politics) di avvilupparsi in maniera indissolubile alle politiche sanitarie (policies), con decisioni condizionate da interessi di varia natura;
- hanno fatto scelte in contrasto con il principio dell’health in all policies, che impone di orientare tutte le decisioni politiche - non solo sanitarie - ma anche industriali, ambientali, sociali, economiche e fiscali, mettendo sempre al centro la salute dei cittadini;
- hanno accettato troppi compromessi con l’industria, sia perché un’elevata domanda di servizi e prestazioni sanitarie genera occupazione, sia perché l’introduzione di specifiche misure di prevenzione rischia di ridurre posti di lavoro.
Contestualmente, le mutate condizioni epidemiologiche, economiche e sociali hanno contribuito a minare la sostenibilità di tutti i sistemi sanitari: dal progressivo invecchiamento delle popolazioni al costo crescente delle innovazioni, in particolare di quelle farmacologiche; dall’aumento della domanda di servizi e prestazioni da parte di cittadini e pazienti alla riduzione degli investimenti pubblici in sanità . Tuttavia, il problema della sostenibilità non è di natura squisitamente finanziaria, perché un’aumentata disponibilità di risorse non permette comunque di risolvere cinque criticità ampiamente documentate nei paesi industrializzati: l’estrema variabilità nell’utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie; gli effetti avversi dell’eccesso di medicalizzazione; le diseguaglianze conseguenti al sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie dall’elevato value; l’incapacità di attuare efficaci strategie di prevenzione; gli sprechi che si annidano a tutti i livelli (3).
Se guardiamo al SSN come ad un paziente, oggi il suo stato di salute è gravemente compromesso da quattro “patologie” (definanziamento pubblico, ampliamento del “paniere” dei nuovi LEA, sprechi e inefficienze, espansione incontrollata del secondo pilastro) e due “fattori ambientali” (collaborazione Stato-Regioni e aspettative di cittadini e pazienti).
Definanziamento pubblico. Identifica un’insufficienza respiratoria cronica restrittiva: tra tagli e definanziamenti nel periodo 2010-2019 al SSN sono stati sottratti circa € 37 miliardi e il fabbisogno sanitario nazionale (FSN) è aumentato solo dell’1% per anno, percentuale inferiore all’inflazione media annua (+ 1,18%). In pratica, se l’aumento di circa un miliardo/anno genera l’illusione di un sostentamento minimo, in realtà non mantiene nemmeno il potere d’acquisto. Guardando al futuro non si intravede alcuna luce in fondo al tunnel: la Nota di Aggiornamento del DEF 2018 ha eseguito un impercettibile lifting sul rapporto spesa sanitaria/PIL (+0,1% nel 2020 e nel 2021) e la Manovra porta in dote per il 2019 il miliardo già assegnato dalla precedente legislatura e prevede un incremento del FSN (+ € 2 miliardi nel 2020, + € 1,5 miliardi nel 2021) inevitabilmente legato ad ardite previsioni di crescita economica. Per il resto, a fronte dell’impegno su liste di attesa e borse di studio per specializzandi e futuri medici di famiglia, sono rimasti fuori dalla Manovra rinnovi contrattuali, sblocco del turnover del personale sanitario, via libera ai nomenclatori tariffari dei nuovi LEA, eliminazione del superticket. Terapia raccomandata: aumentare gradualmente e progressivamente il FSN al fine di invertire, entro 5 anni, il trend del rapporto spesa sanitaria/PIL.
Ampliamento del “paniere” dei nuovi LEA. Corrisponde ad un severo ipertiroidismo con iperconsumo metabolico: infatti, se da un lato occorre riconoscere all’ex Ministro Lorenzin il grande traguardo politico di avere aggiornato l’elenco delle prestazioni fermo al 2001, dall’altro, dopo quasi 2 anni, i nomenclatori tariffari rimangono ancora “ostaggio” del MEF per mancata copertura finanziaria e la maggior parte delle nuove prestazioni ed esenzioni non sono di fatto esigibili (4). Dal canto suo la Commissione LEA non ha mai pubblicato alcun aggiornamento, nonostante le numerose scadenze fissate, né ha mai reso pubblica la metodologia per l’inserimento e il delisting delle prestazioni. Terapia raccomandata: “sfoltire” adeguatamente le prestazioni dal basso value incluse nei LEA.
Sprechi e inefficienze. Considerato che attaccano il sistema dall’interno, non possono che identificarsi con una malattia autoimmune, come il lupus eritematoso sistemico che colpisce tutti gli organi e gli apparati, visto che sprechi e inefficienze si annidano a tutti i livelli. Nel 2014 GIMBE ha elaborato la tassonomia degli sprechi in sanità costituita da sei categorie: sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate, frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, (conseguenze del) sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate, complessità amministrative, inadeguato coordinamento dell’assistenza. Secondo le stime della Fondazione GIMBE ogni anno circa € 21 miliardi (± 20%) spesi in sanità non producono alcun miglioramento di salute. Ma come spiegare “l’inverosimile convivenza” di una simile entità di sprechi con eccellenti risultati in termini di salute e con un finanziamento pubblico molto contenuto? Semplice! Innanzitutto, gli esiti di salute nei paesi industrializzati solo per il 10-15% dipendono dalla qualità dell’assistenza sanitaria; in secondo luogo, il definanziamento pubblico del SSN ha eroso principalmente i costi del personale, mentre sprechi e inefficienze riguardano prevalentemente beni e servizi per i quali nello stesso periodo la spesa è aumentata. Il Rapporto OCSE Health at a Glance 2018 (5) oltre a confermare che “fino a un quinto della spesa sanitaria è sprecato e potrebbe essere destinato a un uso migliore”, delinea le possibili strategie per ridurre gli sprechi al fine di rendere i sistemi sanitari più efficienti e resilienti, citando proprio le stime della Fondazione GIMBE. Terapia raccomandata: piano nazionale di disinvestimento dagli sprechi agganciato ai criteri di riparto del FSN e agli adempimenti LEA.
Espansione incontrollata del secondo pilastro. Patologia insidiosa assimilabile ad un’infezione cronica da virus del papilloma umano, il cui DNA si integra nel genoma umano e può causare varie malattie, neoplasie incluse. L’idea di affidarsi al secondo pilastro per garantire la sostenibilità del SSN si è progressivamente affermata grazie ad una raffinata strategia di marketing fondata su un assioma basato su criticità solo in apparenza correlate: riduzione del finanziamento pubblico, aumento della spesa out-of-pocket, difficoltà di accesso ai servizi sanitari (6). Tale strategia viene periodicamente fomentata da allarmistici dati sulla rinuncia alle cure (7) e indebitamento dei cittadini (8), che provengono da studi ampiamente discutibili e, guarda caso, finanziati proprio da compagnie assicurative. Purtroppo, sull’onda di un entusiasmo collettivo, non vengono adeguatamente valutati i numerosi effetti collaterali che il secondo pilastro rischia di produrre su vari “organi e apparati” del SSN. Oggi infatti, considerato che la sanità “integrativa” è diventata prevalentemente “sostitutiva”, il secondo pilastro ha raggiunto un tale profilo di tossicità che, se fosse un farmaco, qualsiasi agenzia regolatoria ne avrebbe già imposto il ritiro dal mercato: dai rischi per la sostenibilità a quelli di privatizzazione, dall’aumento delle diseguaglianze all’incremento della spesa sanitaria, dal sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie alla frammentazione dei PDTA (9). Terapia raccomandata: riordino legislativo della sanità integrativa per evitare derive consumistiche e di privatizzazione.
Il SSN affetto da queste patologie ingravescenti vive poi in un habitat fortemente influenzato da due fattori ambientali: la (leale?) collaborazione con cui Stato e Regioni dovrebbero tutelare il diritto alla salute e le aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti per una medicina mitica e una sanitĂ infallibile, alimentate da analfabetismo scientifico ed eccessi di medicalizzazione.
Collaborazione Stato-Regioni. In sanità è uno scottante tema politico sul quale i vari esecutivi hanno abdicato o cercato soluzioni improbabili, tanto che in poco tempo ha attraversato da un estremo all’altro l’intera gaussiana. Il diritto alla tutela della salute delle persone è stato infatti catapultato dalla riforma dell’art. 117 della Costituzione, che con l’eliminazione della legislazione concorrente e la restituzione allo Stato di alcuni poteri esclusivi avrebbe dovuto porre fine (?) alle diseguaglianze regionali, alla contagiosa diffusione, in attuazione dell’art. 116, del virus del regionalismo differenziato (10). Oggi infatti, accanto a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna che hanno già sottoscritto gli accordi preliminari con il Governo, tutte le altre Regioni a parte Abruzzo e Molise hanno già avviato l’iter.
Senza entrare nel merito di un’analisi politica, è ragionevolmente certo che ulteriori autonomie accentueranno iniquità e diseguaglianze tra 21 sistemi sanitari, già ampiamente certificate dal fallimento della riforma del Titolo V: dagli adempimenti LEA alle performance ospedaliere documentate dal Programma Nazionale Esiti, dalla dimensione delle aziende sanitarie alla capacità di integrazione pubblico-privato, dal variegato contributo dei fondi sanitari integrativi a quello delle polizze assicurative, dalla disponibilità di farmaci innovativi all’uso di farmaci equivalenti, dalla governance della libera professione e delle liste di attesa alla giungla dei ticket, dalle eccellenze ospedaliere del Nord alla desertificazione dei servizi territoriali nel Sud, dalla mobilità sanitaria alle diseguaglianze sugli stili di vita, dai requisiti minimi di accreditamento delle strutture sanitarie allo sviluppo delle reti per patologia, dall’accesso alle prestazioni sanitarie agli esiti di salute.
In questo continuo dibattito tra normative, strumenti, regole e responsabilità di Stato e Regioni, il centro della scena è quasi sempre occupato da posizioni ideologiche (visione centralista vs regionalista), dalle conseguenze dell’inadeguata governance dello Stato sulle Regioni (diseguaglianze) o da proposte anacronistiche, quale la ridefinizione dei criteri di riparto tenendo conto anche dei criteri di deprivazione, che paradossalmente finirebbero per assegnare più risorse alle Regioni che si sono distinte per le peggiori performance in termini di deficit economico e di inadempimenti LEA.
Se a legislazione (e Costituzione) vigente, il diritto della tutela della salute è affidato sulla carta ad una leale collaborazione tra lo Stato (che assegna le risorse e definisce i LEA) e le Regioni (responsabili della pianificazione e organizzazione dei servizi sanitari), bisogna avere l’onestà intellettuale di riconoscere che questa soluzione ha cristallizzato strumenti di monitoraggio (griglia LEA) e di miglioramento (Piani di rientro) di fatto incompleti, obsoleti e di documentata inefficacia. Ecco perché bisogna prendere atto che senza un riparto del FSN vincolato ad un rigoroso monitoraggio dei LEA con il nuovo Sistema di Garanzia, le attuali modalità di governance Stato-Regioni non fanno che alimentare diseguaglianze e sprechi. Terapia raccomandata: aumentare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni, nel pieno rispetto della loro autonomia, per garantire l’uniforme erogazione dei LEA su tutto il territorio nazionale.
Aspettative di cittadini e pazienti.Nonostante siano “azionisti di maggioranza” del SSN, anche cittadini e pazienti finiscono per minarne quotidianamente la sostenibilità . Negli anni sono infatti aumentate le aspettative per una medicina mitica e una sanità infallibile e oggi il consumismo sanitario condiziona fortemente la domanda di servizi e prestazioni, anche se inefficaci, inappropriate o addirittura dannose. Questo fenomeno dalle enormi implicazioni cliniche, sociali ed economiche, non è stato mai preso in considerazione dalla politica nazionale e regionale che continua a considerare il cittadino-paziente più come un elettore da compiacere che come una persona con una salute da tutelare.
Dal canto loro, le organizzazioni sanitarie sono molto in ritardo nel coinvolgimento attivo di cittadini e pazienti per valutare la qualità dei servizi e contribuire alla loro riorganizzazione, e la relazione medico-paziente continua ad essere basata sul modello paternalistico, lasciando poco spazio al processo decisionale condiviso, dove il paziente, adeguatamente informato dei rischi e benefici delle varie opzioni diagnostico-terapeutiche, dovrebbe decidere insieme al medico tenendo conto delle proprie preferenze, valori e aspettative. In questo contesto, la democratizzazione delle informazioni nell’era di internet, la scarsa alfabetizzazione sanitaria del cittadino/paziente e la viralità dei contenuti sui social hanno assestato il colpo di grazia. Ricerca di scarsa qualità , bufale e fake news finiscono così per avere il sopravvento sulle evidenze scientifiche, condizionando le scelte individuali e, indirettamente, le politiche sanitarie che, in quanto legate politica partitica, non possono permettersi di scontentare gli elettori. Terapia raccomandata: programma nazionale d’informazione scientifica a cittadini e pazienti per debellare le fake news, ridurre il consumismo sanitario e promuovere decisioni realmente informate da evidenze scientifiche.
Patologie e fattori ambientali hanno dunque contribuito ad un’involuzione dell’intero sistema di welfare, in particolare in alcune aree del Paese, testimoniando il progressivo e lento sgretolamento del SSN:
- nonostante una spesa sanitaria già sobria, l’entità del definanziamento ormai fa scricchiolare anche le performance delle Regioni più virtuose e il prezzo è stato pagato soprattutto dal personale sanitario, elevando l’età media e demotivando la principale risorsa su cui poggia il sistema di tutela della salute;
- i nuovi LEA hanno concretizzato la paradossale dissociazione tra gestione della finanza pubblica e programmazione sanitaria: infatti, al diminuire del finanziamento pubblico sono aumentate a dismisura (solo sulla carta) le prestazioni a carico del SSN;
- tra le fasce più deboli della popolazione e nelle Regioni in maggiore difficoltà peggiorano le condizioni di accesso ai servizi sanitari, aumentano le diseguaglianze sociali e territoriali e si accendono allarmanti “spie rosse”, come la riduzione dell’aspettativa di vita in alcune province italiane;
- le misure di “efficientamento” finalizzate a mettere “i conti in ordine” da un lato hanno inciso solo in maniera limitata su sprechi e inefficienze, dall’altro, in particolare nelle Regioni in piano di rientro, hanno peggiorato l’erogazione dei servizi sanitari, avendo inciso solo in misura residuale nella loro riorganizzazione, nonostante il raggiungimento dell’equilibrio finanziario;
- la limitata governance dell’intermediazione assicurativo-finanziaria ha creato veri e propri cortocircuiti del SSN, che contribuiscono a minare le basi dell’universalismo;
- l’aspettativa di vita in buona salute e libera da disabilità continua drammaticamente a ridursi nel confronto con altri paesi europei, lasciando emergere l’inderogabile necessità di un sistema socio-sanitario nazionale;
- la prevenzione continua a rimanere la “sorella povera” dei LEA, sia perché numerosi interventi preventivi rimangono fortemente sottoutilizzati, sia per il limitato sviluppo di politiche per la prevenzione e la riduzione dei fattori di rischio ambientali.
In questo contesto particolarmente critico stridono i continui riferimenti pubblici alle posizioni del nostro SSN in classifiche ormai desuete (il 2° posto dell’OMS su dati 1997 (11)), oppure inversamente correlate al livello di finanziamento (il 4° posto di Bloomberg (12)), trascurando che nei paesi industrializzati solo il 10% degli esiti di salute dipende dalla qualità del sistema sanitario. In altre parole, si continua ad attribuire alla qualità del nostro SSN l’aspettativa di vita alla nascita che dipende da fattori genetici, ambientali, sociali e dagli stili di vita. Se Bloomberg correlasse il finanziamento con l’aspettativa di vita a 65 anni in buona salute e libera da malattia, dove siamo fanalino di coda in Europa, l’Italia precipiterebbe in fondo alla classifica.
Inoltre, il dibattito pubblico sulla sostenibilità del SSN, oltre a mantenere un orizzonte a breve termine legato inevitabilmente alla scadenza dei mandati politici, continua ad essere affrontato da prospettive di categoria non scevre da interessi in conflitto, oppure mettendo al centro della scena singoli fattori. Da quelli politici (rapporti Governo-Regioni, regionalismo differenziato) a quelli economici (criteri di riparto del fabbisogno sanitario nazionale, modalità di gestione dei piani di rientro, costi standard, ticket, sanità integrativa), da quelli organizzativi (fusione di aziende sanitarie, sviluppo di reti e PDTA per patologia, modelli per la gestione delle cronicità ) a quelli sociali (fondo per la non autosufficienza, rinuncia alle cure, impatto della malattia su familiari e caregiver). Oppure concentrandosi sulla lettura semplicistica di numeri che se da un lato documentano inequivocabili certezze (riduzione del finanziamento pubblico, aumento della spesa out-of-pocket, ipotrofia della spesa intermediata), dall’altro forniscono uno straordinario assist per chi punta a tracciare una sola strada per salvare il SSN: compensare la riduzione del finanziamento pubblico tramite il potenziamento del secondo pilastro.
Tutti questi approcci parcellari per valutare la sostenibilità del SSN, spesso finalizzati a portare avanti proposte opportunistiche, fanno perdere di vista il rischio reale per il popolo italiano: quello di perdere, lentamente ma inesorabilmente, il modello di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, conquista sociale irrinunciabile per l’eguaglianza di tutte le persone.
Al fine di aumentare la sensibilizzazione pubblica sul valore della sanità pubblica, nel marzo 2013 la Fondazione GIMBE ha lanciato la campagna “Salviamo il Nostro Servizio Sanitario Nazionale” (#salviamoSSN) (13) e pubblicato nel dicembre 2014 il suo documento programmatico, la Carta GIMBE per la tutela della Salute (14).
Nel giugno 2016, dopo tre anni di studi, consultazioni e analisi indipendenti, il “Rapporto GIMBE per la sostenibilità del SSN 2016-2025” (15) ha fermamente ribadito che è indispensabile rimettere al centro dell’agenda politica la sanità pubblica e, più in generale, l’intero sistema di welfare. Nel settembre 2016 è stato quindi lanciato l’Osservatorio GIMBE sulla sostenibilità del SSN (16), per un monitoraggio indipendente di tutti gli stakeholder, ispirato a tre princìpi fondamentali:
- health in all policies: la salute delle persone deve guidare tutte le politiche, non solo sanitarie, ma anche industriali, ambientali, sociali, economiche e fiscali;
- evidence for health: le migliori evidenze scientifiche devono essere integrate in tutte le decisioni politiche, manageriali e professionali che riguardano la salute delle persone, oltre che guidare le scelte di cittadini e pazienti;
- value for money: il sistema sanitario deve ottenere il massimo ritorno in termini di salute dal denaro investito in sanitĂ , al tempo stesso un mandato etico e un obiettivo economico.
Nel giugno 2017, con il 2° Rapporto sulla sostenibilità del SSN (17), la Fondazione GIMBE ha confermato che non esiste alcun disegno occulto di smantellamento e privatizzazione del SSN, ma continua a mancare una strategia politica ed economica finalizzata a salvare la sanità pubblica. Di conseguenza, ha ripetutamente esortato tutte le forze politiche in campo per le consultazioni elettorali del 4 marzo 2018 a mettere nero su bianco proposte convergenti per la sanità pubblica ed ha elaborato un “piano di salvataggio” multifattoriale del SSN (18) (figura 1), utilizzato come benchmark sia per il monitoraggio dei programmi elettorali di tutte le forze politiche (19), sia per l’analisi del “Contratto per il Governo del Cambiamento” (20).
Nel giugno 2018, con il 3° Rapporto sulla sostenibilità del SSN (21), la Fondazione GIMBE ha ribadito con fermezza che mettere in discussione la sanità pubblica significa compromettere non solo la salute, ma soprattutto la dignità dei cittadini e la loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi che, in ultima analisi, dovrebbero essere viste dalla politica come il vero ritorno degli investimenti in sanità , volando alto nel pensiero politico, nell’idea di welfare e nella (ri)programmazione socio-sanitaria.
Da un punto di vista politico sarebbe dunque indispensabile ripartire dalle conclusioni dell’indagine sulla sostenibilità realizzata dalla 12a Commissione Igiene e Sanità del Senato (22), secondo cui «troppo spesso la salute e la spesa per salute è stata considerata solo un tema di sanità , dimenticando gli impatti sul sistema economico e produttivo del Paese. La sostenibilità del sistema sanitario è prima di tutto un problema culturale e politico».
Ma, dal canto loro, gli stakeholder della sanità sono realmente disponibili a rinunciare ai privilegi acquisiti per salvare il SSN inteso come bene comune? Se vari fattori (assenza di programmazione sanitaria, derive regionaliste, aziendalizzazione estrema, competizione pubblico-privato, lobbies professionali e involuzione del cittadino in consumatore) hanno determinato la “regressione prestazionistica” del SSN che genera soddisfazione dei cittadini-pazienti, garantisce ritorno elettorale ed alimenta i profitti dei privati, quali leve motivazionali dovrebbero determinare un cambio di rotta? Ecco perché sciogliere la prognosi di un SSN ormai “lungodegente in terapia intensiva” è un’impresa ardua e necessita di una rinnovata consapevolezza sociale, oltre che di riforme coerenti sia con l’obiettivo che gli è stato assegnato dalla L. 833/78, ovvero “promuovere, mantenere e recuperare la salute fisica e psichica della popolazione”, sia soprattutto con l’articolo 32 della Costituzione, che tutela il diritto alla salute delle persone, ma non garantisce loro un accesso indiscriminato a servizi e prestazioni sanitarie.
Al giro di boa dei 40 anni del SSN, la Fondazione GIMBE avvia la pars construens della campagna #salviamoSSN, formulando una serie di proposte che saranno presentate il prossimo 8 marzo a Bologna in occasione della 14a Conferenza Nazionale GIMBE (23). In qualità di “azionisti di maggioranza”, infatti, abbiamo tutti il dovere di tutelare il SSN, ciascuno secondo le proprie responsabilità pubbliche o individuali, cementando un nuovo patto generazionale per lasciare ai nostri figli e nipoti l’eredità più preziosa: un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico.
Infine, per i 40 anni del SSN, la Fondazione GIMBE ha realizzato un logo celebrativo (figura 2), non solo per ricordare questo importante traguardo, ma soprattutto per diffondere la consapevolezza che stiamo silenziosamente perdendo la nostra più grande conquista sociale, rischiando di lasciare in eredità alle generazioni future una sanità privata per i ricchi ed una pubblica residuale per i meno abbienti. In assenza di un francobollo o di una moneta celebrativa, è fondamentale lasciare un segno tangibile del 40° compleanno del SSN, probabilmente l’ultima occasione per rimettere la sanità pubblica al centro dell’agenda politica, destinare adeguate risorse e avviare le riforme necessarie ad assicurare lunga vita al nostro SSN.
Perché la sanità pubblica è come la salute: ti accorgi che esiste solo quando l’hai perduta.
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-Pagina aggiornata il 24/dicembre/2018