Secondo l’evidence-based health care le conoscenze scientifiche dovrebbero guidare tutte le decisioni professionali, manageriali e politiche che riguardano la salute delle persone (1,2). In realtà , l’inadeguato utilizzo delle evidenze da parte di professionisti, manager e policy-maker, oltre che pazienti e caregiver, è documentato sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo, a livello di cure primarie e nell’assistenza ospedaliera, in tutte le professioni sanitarie e discipline specialistiche. Questo inadeguato trasferimento delle migliori evidenze scientifiche determina asimmetrie informative e sprechi conseguenti al sovrautilizzo (overuse) di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriati e al sottoutilizzo (underuse) di quelli efficaci e appropriati (3). Di conseguenza, la sostenibilità di un sistema sanitario, indipendentemente dalla sua natura (pubblico, privato, misto) e dalla quota di PIL destinata alla sanità , non può prescindere da adeguati investimenti per migliorare la produzione delle conoscenze, il loro utilizzo da parte dei professionisti e la governance dell’intero processo di knowledge translation (KT) (4). Questo si realizza soprattutto nelle Aziende sanitarie, come “processo dinamico e continuo che comprende la sintesi, la disseminazione, lo scambio e l’applicazione delle conoscenze al fine di migliorare la salute, fornire servizi, prestazioni e interventi sanitari più efficaci e appropriati e contribuire alla sostenibilità del sistema sanitario” (5).
Un modello efficace di KT deve prevedere innanzitutto un adeguato processo di generazione, sintesi e “distillazione” delle evidenze, sino a ottenere per gli utilizzatori finali (professionisti sanitari, decisori e pazienti) prodotti fruibili e utili quali linee guida, health-technology assessement (HTA) report, strumenti di supporto decisionale per i pazienti (patient decision aids). Successivamente, ciascuna Azienda sanitaria è chiamata ad attivare il “ciclo delle azioni” (6):
- definire le prioritĂ clinico-assistenziali organizzative
- identificare le evidenze da implementare, generalmente sotto forma di linee guida o HTA reports
- adattare le evidenze al contesto locale in percorsi assistenziali che tengano conto degli ostacoli strutturali, tecnologici, organizzativi e professionali
- identificare barriere e fattori facilitanti all’utilizzo delle evidenze
- pianificare e monitorare una strategia multifattoriale per implementare e sostenere il cambiamento
- monitorare l’impatto delle evidenze sui processi (appropriatezza) e sugli esiti assistenziali (efficacia).
Di conseguenza, piuttosto che affidarsi con ragionevole insuccesso alle capacità di aggiornamento continuo dei singoli professionisti (7), il management delle Aziende sanitarie, attraverso processi di innovazione e adeguati investimenti, deve governare l’intero processo di KT che prevede l’utilizzo sinergico di vari strumenti di clinical governance: EBM, linee guida e percorsi assistenziali, audit clinico, indicatori di performance, gestione del rischio, HTA, formazione e sviluppo professionale continui, coinvolgimento di cittadini e pazienti, ricerca e sviluppo, staff management, etc. La rilevanza di tali strumenti (8), oggi richiamati in vari articoli del Patto per la Salute 2014-2016 e dal “Regolamento sugli standard qualitativi, tecnologici, strutturali e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera”, è ulteriormente confermata dalla logica interpretazione di alcune affermazioni contenute nel Patto stesso. Infatti, se (9):
- i “risparmi derivanti dall’applicazione delle misure contenute nel Patto rimangono nella disponibilità delle singole Regioni per finalità sanitarie”
- le performance delle Aziende Sanitarie, in termini di erogazione dei LEA e di equilibrio finanziario, contribuiscono al risultato complessivo della propria Regione
- la legge di Stabilità ha confermato che “il conseguimento degli obiettivi di salute e assistenziali da parte dei direttori generali costituisce adempimento ai fini dell’accesso al finanziamento integrativo del SSN e comporta la loro decadenza automatica in caso di inadempimento”
è inevitabile per le Regioni avviare e mantenere un virtuoso processo di disinvestimento (da sprechi e inefficienze) e riallocazione (in servizi essenziali e innovazioni), responsabilizzando e coinvolgendo attivamente le Aziende sanitarie e queste, a cascata, tutti i professionisti. In questo processo di disinvestimento e riallocazione si affermano come indiscussi protagonisti tutti gli strumenti della clinical governance, perché per garantire la sostenibilità del SSN il denaro pubblico oggi può solo finanziare servizi, prestazioni e interventi sanitari efficaci, appropriati e dall’high value.
Questo è stato il tema portante della Convention “Le Aziende Sanitarie per il futuro del SSN: competenze manageriali e professionali per una Sanità ad high value” (box) dove, dalla survey anonima (appendice) è emerso un notevole consenso sulle tematiche affrontate.
Le Aziende Sanitarie per il futuro del SSN: competenze manageriali e professionali per una SanitĂ ad high value. Bologna, 21-22 novembre
Direttori generali, sanitari e amministrativi rappresentativi di 30 Aziende sanitarie hanno partecipato alla Convention nazionale, organizzata dalla Fondazione GIMBE in partnership con la Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere (FIASO). Nella sessione inaugurale Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE, ha ribadito che la sostenibilità del SSN è strettamente legata al processo di disinvestimento e riallocazione, che non può fare a meno degli strumenti della clinical governance per favorire il trasferimento delle migliori evidenze all’assistenza sanitaria, riducendo asimmetrie informative, diseguaglianze e sprechi conseguenti al sovra- e sotto-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie. Francesco Ripa di Meana, presidente della FIASO, ripercorrendo la storia dell’aziendalizzazione, ha quantificato la “perdita di valore” conseguente al processo di sterilizzazione/abolizione delle Aziende sanitarie e identificato il fenotipo dell’Azienda sanitaria del futuro: una organizzazione “liquida”, caratterizzata da nuovi rapporti con l’esterno, nuovi assetti organizzativi, nuove responsabilità e forte enfasi sulla trasversalità . Due sessioni interattive hanno permesso di sondare le opinioni dei partecipanti su tematiche di estrema attualità . Massimo Annicchiarico (Azienda USL Bologna) e Angelo Tanese (ASL Roma E) hanno discusso degli strumenti necessari per garantire equità distributiva e allocativa di servizi e prestazioni sanitarie, illustrato le innovazioni organizzative che legano sostenibilità e governo clinico e affrontato il delicato tema della fusione delle Aziende sanitarie. Fausto Nicolini (Azienda USL Reggio Emilia) e Francesco Longo (SDA Bocconi), hanno approfondito rilevanti aspetti di gestione del capitale umano delle organizzazioni sanitarie, la misurazione e rendicontazione delle performance e le strategie per aumentare efficienza e produttività , mantenendo la qualità dei servizi.
Il report integrale dell’evento è disponibile a: www.gimbe.org/DG2014 |
- Oltre il 90% ritiene che le ASL possono essere “produttori” di welfare, sia definendo un’autonoma politica di azione sul territorio (36%), sia su mandato regionale e di politica socio-sanitaria integrata con i comuni (57%).
- Secondo l’86% gli strumenti della clinical governance costituiscono, anche se non da soli, l’ancora di salvezza per garantire l’universalismo del SSN.
- Se il 43% ritiene che le fusioni di Aziende sanitarie servano solo alla politica per dimostrare capacitĂ di riforma, per il 31% incrementano la governance delle reti di offerta, mentre per il 21% indeboliscono la capacitĂ di risposta del sistema, meglio garantita da Aziende piĂą piccole.
- Il 73% pensa che la holding regionale sia l’unica strada per la sopravvivenza dell’autonomia aziendale, mentre il rimanente 27% teme che costituisca la premessa alla perdita di autonomia.
- Per il 90% il sistema di finanziamento può favorire l’integrazione delle Aziende sanitarie, in particolare vincolando la remunerazione delle Aziende ospedaliere a obiettivi di esito.
- L’80% concorda che l’elemento che condiziona maggiormente l’attuazione delle innovazioni organizzative è la capacità della direzione aziendale di guidare e orientare il cambiamento, rispetto all’attitudine/disponibilità dei professionisti al cambiamento (13%) e alla presenza di linee di indirizzo regionali (7%).
- Il 97% ritiene che la concentrazione delle prestazioni ad elevata complessità , secondo le modalità definite dal regolamento sugli standard ospedalieri, è una riorganizzazione necessaria per mantenere la qualità dei servizi.
- La totalitĂ dei partecipanti riconosce che i percorsi assistenziali permettono di conciliare garanzia, sostenibilitĂ , appropriatezza e medicina centrata sul paziente.
- L’ospedale di comunità per il 26% è economicamente vantaggioso solo se gestito interamente dalle cure primarie; per il 19% è l’unica possibilità per riconvertire strutture esistenti; per il 33% è indispensabile per attuare il chronic care model; mentre per il 22% è un modello organizzativo inapplicabile.
- Nell’attuale quadro economico e contrattuale, le leve di gestione del personale più efficaci sono la valorizzazione professionale (56%) e il riconoscimento esplicito non economico (30%). Rimangono al palo avanzamenti di carriera e riconoscimenti economici (entrambi al 7%), verosimilmente per la non fattibilità .
- L’integrazione tra le diverse professioni sanitarie è ostacolata in maggior misura dalla resistenza al cambiamento (66%), quindi da conoscenze e skills (21%) e dalle normative vigenti (10%).
- Oltre il 60% ritiene che gli standard di competence professionale per valutare conoscenze, skills e attitudini dei professionisti sanitari devono essere definiti dalle istituzioni centrali o regionali, in particolare attraverso i requisiti di accreditamento regionali (43%); per il 21% il compito deve essere affidato a societĂ scientifiche/Ordini e Collegi Professionali; mentre il 20% lo ritiene superfluo anche per il rischio di una eccessiva burocratizzazione.
- Tutti ritengono che nel bugdet debbano essere integrati indicatori di qualitĂ tecnico-professionale, in particolare di appropriatezza (64%).
- Grande disponibilità alla trasparenza, considerato che oltre il 90% ritiene che le performance professionali e dei team devono essere rese pubbliche: 46% anche all’esterno dell’Azienda, 31% solo all’interno dell’Azienda e 15% solo all’interno del team.
- Secondo l’81% la compatibilità tra appropriatezza e produttività è un obiettivo realistico in tutte le Aziende sanitarie; per coniugare produttività e appropriatezza nettamente preferiti gli strumenti di governo clinico (58%) rispetto al lean management (7%).
- L’efficacia del processo di disinvestimento e riallocazione sarà condizionato in prevalenza da direttive regionali (20%), strategie manageriali (44%) e adeguato coinvolgimento e responsabilizzazione dei professionisti (36%).
Appendice. I risultati della survey. Parte I
Appendice. I risultati della survey. Parte III